Friday, December 09, 2011

9/12


Come sempre mi piace spiegare prima un po' di cose, ad esempio il titolo (9/12 cioè oggi) è semplicemente una dedica e si incastra perfettamente in quel periodo descritto tra novembre e Natale.
Non sapevo che nome dare al protagonista, e non gli davo nemmeno troppa importanza, d'altronde un nomeè solo un nome. All’inizio volevo chiamarlo Johnny o Jimmy: perché quando non sai come chiamare qualcuno ti viene da dargli un nome fittizio. E di solito è uno dei due. (“Hey Johnny, vé ché”). Poi mi è venuto in mente il secondo romanzo di Brizzi: Bastogne. Ecco, qui salta fuori un personaggio, Cousin Jerry Claypool, che è un po’ il più figo, e sa il fatto suo, sicuramente più di questo Jerry di cui scrivo brevemente le disgrazie.
«“C’è un ordine che premia i più ubbidienti”, diceva Cousin Jerry, “ma noi siamo stati chiamati a partecipare a un’altra festa.”»
Lui la usava per giustificare la violenza, io l’ho presa in prestito semplicemente perché si adatta alla situazione di questo personaggio, che non si riconosce e a suo malgrado fugge dagli stereotipi e dalla normalità della provincia (e che la provincia impone). E non volevo essere banale scopiazzando il discorso di Mark Renton in Trainspotting.

Sudato in un letto freddo e anonimo, con qualche crosta sulle lenzuola a testimoniare scopate, seghe e sbornie passate finite in lividi, in tagli e in abrasioni. Sul comodino qualche cartina, un posacenere che non svuotava da un po’ e un piattino di metallo lucido con dei rimasugli di tabacco; oltre a una luce pallida che illuminava la parete color panna. Per terra, dei cadaveri di birra da poco tenevano d’occhio un paio di scarpe e a una camicia a quadri buttata lì, alla cazzo, sul pavimento. Neanche una radio a fargli compagnia. Neanche una piantina per raddoppiare la vita nella stanza. Si sentiva così Jerry: solo e folle, ma terribilmente romantico. Perlomeno romantico a modo suo.

Non molto indietro nel tempo si sentiva uno sfigato, Jerry, passare le serate chiuso in camera, a letto con le gambe per aria guardando il soffitto attraverso le fessure delle dita dei piedi. Cercando di afferrare liane e rami immaginari nell’aria, in una jungla di pensieri, e pensando che se fosse stato uno scimpanzé in Africa sarebbe stato tutto più semplice.
Si sentiva uno sfigato, Jerry, ma non senso di sfortunato, proprio nel senso di sfigato: perdente, coglione. Passava anche le sue giornate così, a farsi dei viaggi. A non fare un cazzo. Non gli interessava più niente al di fuori di Lei. Ormai non provava più interesse per nient’altro, né amici, né lavoro, né calcio, né musica: tutto un mucchio di attività vuote e noiose, da svolgere solo per arrivare in fondo alla giornata. “Stronzate…”, diceva. Ma la verità era una sola: da quando l’aveva conosciuta non era più lui, e ogni giorno cambiava quel poco per far sì che oggi fosse completamente un altro.

Non era più felice, Jerry; non aveva più entusiasmo e non faceva nulla per nasconderlo. Però – perché c’è sempre un però – era felice con Lei. Solo con Lei. Ma non capiva una cosa, anzi non ci arrivava proprio. Non si rendeva conto che Lei l’aveva portato dentro un incubo. Jerry era (come) un eroinomane: ciò che gli dava felicità in realtà lo uccideva un poco alla volta. Ma lui non si sentiva un drogato del cazzo. No, lui no, Jerry non era mica al SeRT, aveva una vita lui. Aspettava tutto il tempo quel fottuto appuntamento, e quei sfottuti momenti con Lei gli bastavano sempre meno. E subito dopo averla lasciata andare già gli mancava, e stava peggio di prima. (Come) un eroinomane in una crisi d’astinenza. E scappava di casa per andare da Lei. Ed era arrivato al punto di rubare i soldi in casa per andare con Lei. Né sua madre né i suoi amici sapevano più che fare.
Jerry viveva con sua madre Anna, una bella donna di mezz’età, divorziata, titolare di un bar in paese, proprio sotto casa. Sua madre si faceva il culo, ma guadagnava abbastanza per non farsi mancare niente. Suo padre stava chissà dove, forse se n’era tornato a Roma; la provincia non faceva per lui, così gli mandava qualche soldino ogni tanto, oltre agli auguri per Natale e il compleanno, per sentirsi a posto con la coscienza.

Non era più l’adolescente spensierato di una volta, Jerry. A diciassette anni aveva mollato la scuola, “studiare non fa per me”, ammise. E iniziò a lavorare in fabbrica, anche perché voleva uscire di casa al più presto “quanto mi sta addosso mia madre?”. Il motorino non lo usava più per trovarsi alle quattro in piazzetta o in bar con gli amici, per poi andare a fare le corse su e giù per le vie di campagna. La mattina presto saliva in sella e si faceva quei cinque gelidi kilometri per andare in officina. Con un freddo cane e la nebbia che ti entrava nelle ossa perforando la giacca, i vestiti e la pelle. Dove abitava, l’autunno e l’inverno erano proprio una brutta bestia. Non l’aveva mai detto, eppure quel periodo tra novembre e Natale gli piaceva un sacco. L’autunno emiliano fa sempre molto anni ‘70/’80. Non so perché, ma sembra che tra circoli ARCI e portici il tempo si fermi. Passeggiando in centro, nella nebbia, sul porfido bagnato dalla guazza, si ha sempre l’impressione che possa accadere qualcosa, all’improvviso; poi non succede nulla e tutto rimane lì, immobile tra il grigio e il bianco. Ma te lo aspetti. Sempre.
Fu così che la vide per la prima volta. Candida spuntò da quel bianco, era con amici di amici, e sembravano divertirsi molto. Gliela presentarono e da allora…

Sudato in un letto freddo e anonimo – dicevamo – Jerry buttò giù un altro goccio, strinse la fibbia coi denti e premette con decisione sullo stantuffo.
L’ultimo orgasmo nel buio.
Lo trovarono così, un paio di giorni dopo.

6 comments:

Anonymous said...

Te lo dico sempre che sei un bravo scrittore :P

Anonymous said...

Cece sai che sono sempre abbastanza duro con te quando scrivi ma stavolta mi hai sorpreso in positivo.

Mi è piaciuta la parte dove descrivi la parte della provincia emiliana e la parte del ragazzo coglione e sfigato di provincia in cui ognuno di noi almeno una volta nella vita si immedesima.
Di fatto io mi immedesimo in molte cose che hai scritto.

Bravo Cece questo stile un pò Bukowski ci piace.E non sei scaduto nel banale...

Hasta pronto hermano

Cesare Rensenbrink said...

grazie piccola, nos vemos pronto hermanito!

Anonymous said...

"L’autunno emiliano fa sempre molto anni ‘70/’80"

Colpito e affondato

Anonymous said...

Ho come la sensazione di averlo già letto...

Tralasciando le osservazioni di sintassi (me ne guardo bene dal farlo...) il racconto scorre bene, si legge piacevolmente, corto ma intenso.
Mi piace moltissimo l'utilizzo di vocaboli forti, termini diretti che non lasciano spazio ad interpretazioni altre, nè fraintendimenti alcuni.

Avrebbero forse meritato un'ulteriore sviluppo, il racconto e Jerry, entrambi promettenti, come l'autore del resto.

Ah, il titolo...ottima data, scelta azzeccata.
Concordo e ringrazio!
france

Guido said...

Mi piace.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia